Gestione corretta dei rifiuti


 I rifiuti di una società moderna


L’esercizio della modernità
Il crescente aumento di rifiuti industriali e
urbani desta molta preoccupazione soprattutto
in quei Paesi che hanno un potente settore
primario e dove non esistono ancora dei veri
indotti industriali basati essenzialmente sul
recupero e sul riciclo dei prodotti, e quindi
sulla riconversione dei rifiuti in nuovi prodotti
da rimettere sul mercato.

Domenico Esposito


Un disastro annunciato proprio a causa della mancanza di impianti capaci di separare l’umido dal resto dei materiali. Dove erano i controlli?

Tutti hanno appreso di recente a cosa ci si riferisce con l’espressione “emergenza rifiuti”; consentitemi di ripercorrere la storia (anche giudiziaria) di quella vicenda.
L’emergenza rifiuti campana inizia già l’11 febbraio 1994, con l’emanazione di un decreto dell’allora Presidente del Consiglio, Carlo Azeglio Ciampi con il quale il Governo prendeva atto dell’allarme ambientale generatosi nelle settimane precedenti in numerosi centri campani, a causa della saturazione di alcune discariche. Le vicende che ne seguirono sono complesse: in primis si affidò al Prefetto di Napoli la responsabilità della gestione del problema; poi, nel marzo 1996, il Governo Dini lasciò al prefetto solo la gestione del servizio di raccolta, mentre conferì al Presidente della Regione la competenza per gli interventi urgenti e le operazioni di smaltimento, nonché il compito di predisporre un Piano Regionale. Nel giugno 1997 il presidente in carica, Antonio Rastrelli, pubblicò un piano per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani che prevedeva, tra l’altro, la realizzazione di due termovalorizzatori e sette impianti per la produzione di combustibile derivato dai rifiuti (CDR ricavato dalle ecoballe). L’anno seguente Rastrelli, divenuto Commissario straordinario, indisse quindi la gara d’appalto per l’affidamento a un soggetto privato dell’intera gestione del ciclo dei rifiuti; la scelta è senz’altro condivisibile, ma se non si affianca ad essa un’adeguata struttura di controllo, la situazione rischia di collassare irrimediabilmente. Come abbiamo visto è ciò che accadrà! Ma permettetemi una breve digressione: in un sistema liberale, l’azione privata è di fondamentale importanza, ma non può mancare l’azione di controllo e quando si commettono grandi sbagli ai danni della collettività ci vogliono pene esemplari. Pertanto uno Stato liberale è tanto più perfetto e giusto, quanto più equilibrio esiste tra l’azione privata, di controllo e giudiziaria; ci terrei a fare osservare che anche in questo caso interviene in maniera esemplare il principio della funzione nobile e l'ideologia della qualità della vita fa proprio al nostro caso.
Ma torniamo agli avvenimenti del 2000 quando la gara si chiuse e a Rastrelli si era sostituito come Commissario il nuovo Presidente della Regione Antonio Bassolino, e vincitrice risultò la Fibe, un’associazione temporanea di imprese che aveva come capofila la Fisia Italimpianti, controllata del gruppo Impregilo. Essa si aggiudicò l’appalto per la costruzione di sette impianti di produzione di combustibile derivato dai rifiuti e di due inceneritori, nonché per la creazione di diverse discariche in Campania.


Qui inizia in maniera irreversibile il declino del centro-sinistra in Campania, la raccolta differenziata non decolla, si vuole bruciare il cosiddetto “tal quale”, ma torniamo ai fatti di questa orrenda storia.
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Danni incolmabili e nessun responsabile; inquinamento del territorio e mancate bonifiche, ma questo è un altro capitolo che riguarda l'allora Presidente della Regione Campania, Assessore all'agricoltura ecc. ecc.

Ragione della vincita era il fatto che la Fibe proponeva un prezzo più basso per lo smaltimento dei rifiuti e tempi più rapidi per la consegna degli impianti. Tuttavia, a detta di molti, la qualità del progetto presentato era decisamente scadente rispetto a quello presentato dai concorrenti. I tempi previsti inoltre non vennero in realtà rispettati: il 31 dicembre 2000, data prevista dal contratto, il contestatissimo termovalorizzatore di Acerra non era pronto, mentre erano stati realizzati impianti che producevano CDR non a norma (fatto per cui è attualmente in corso un processo penale innanzi al Tribunale di Napoli); per anni vi si continuerà tuttavia a produrre eco-balle che non possono essere bruciate, sia per assenza del termovalorizzatore, sia perché troppo umide, finché si accumuleranno 6 milioni di tonnellate di rifiuti non smaltibili in giro per la regione. Nel frattempo, nel luglio 1998 un’apposita commissione parlamentare decretò che lo stato di emergenza in quattro anni non era stato affatto risolto. E infatti nel dicembre 2000 Carlo Ferrigno, nuovo Prefetto di Napoli, in qualità di Commissario, dichiarò che le discariche esistenti erano ormai tutte sature e in alcuni casi sovraccaricate al punto da causare gravi conseguenze igienico-sanitarie per chi viveva nei paraggi; l’opposizione delle amministrazioni locali, intanto, continuava a mostrarsi ostile all’idea di ospitare in loco gli impianti di produzione di combustibile derivato dai rifiuti. La Regione decise di continuare a utilizzare comunque la discarica di Palma Campania in attesa di trovare altre soluzioni. Nel frattempo entravano in funzione tre impianti di vagliatura e triturazione e quattro di imballaggio. All’inizio del 2001 la Fibe era in ritardo con i lavori e la raccolta differenziata, per la quale erano state assunte migliaia di lavoratori presso i vari Consorzi di Bacino costituiti ad hoc nel 1993, non era decollata: la raccolta era nuovamente in crisi. Le discariche di Serre furono riaperte, e furono spedite mille tonnellate al giorno di rifiuti verso altre regioni d’Italia e persino in Germania. Tra il 2001 e il 2003 furono messi in funzione gli impianti di produzione di combustibile derivato da rifiuti di Caivano, Avellino, Santa Maria Capua Vetere, Giugliano, Casalduni, Tufino e Battipaglia; ma per le stesse ragioni di prima la Campania non poteva ugualmente dirsi autonoma per lo smaltimento di milioni di tonnellate di rifiuti l’anno. La nuova, e forse più famosa, crisi dei rifiuti esplose nel 2007, sotto il Governo Prodi, che si propose di individuare nuovi siti da destinare a discarica e autorizzò la costruzione di tre nuovi inceneritori invece che uno solo, gigantesco, ad Acerra (questione intorno alla quale si era arenato Bassolino). L’ordinanza per la costruzione degli inceneritori venne firmata il 31 gennaio 2008, l’11 dello stesso mese Prodi nomina nuovo Commissario per l’emergenza rifiuti l’ex capo della Polizia di Stato Gianni De Gennaro, con l’obiettivo di risolvere la situazione entro quattro mesi. Riprendono così i trasferimenti di rifiuti verso la Germania (dove saranno in buona parte riconvertiti) tramite ferrovia, paradossalmente con un costo nettamente inferiore rispetto a quanto il commissariato per l’emergenza spendeva per smaltirli in Campania (215 euro per tonnellata, metà dei quali per il trasporto, contro 290), costo comunque altissimo per la collettività. Se a questi costi aggiungessimo i danni che le discariche di “tal quale” e le periodiche emergenze cittadine hanno provocato al territorio e chi vi abita (non solo sanitari, ma macro-economici che interesseranno tutti i settori produttivi, dal primario al terziario), allora avremmo di fronte una spesa senza precedenti, uno schiaffo all’intelligenza!

Non è tutto. Le discariche individuate in questi anni si trovano all’interno di quegli ultimi parchi naturalistici di importante valore faunistico, oppure nelle ultime zone incontaminate a vocazione agricola della città di Napoli, come ad esempio Chiaiano, dove la discarica rischia di compromettere irrimediabilmente le ultime e nobili tradizioni agricole locali. Oggi Giovanni Romano assessore all’ambiente regionale della nuova giunta Caldoro parla di un vero e proprio allarme salute in Campania. Ma torniamo agli avvenimenti del 2008: il neo Commissario all’emergenza Giovanni De Gennaro, pressato dalla fame di spazi dove stipare i rifiuti, individuò ulteriori nuove aree da adibire allo scopo, tra cui la discarica chiusa nel quartiere di Pianura e una cava dismessa nel quartiere di Chiaiano, al confine con il comune di Marano. La protesta dei cittadini si fece subito violenta: mentre il mandato del Commissario veniva prorogato alla scadenza dal dimissionario governo Prodi, la situazione sociale degenerava con gravi ripercussioni sull’ordine pubblico.
Il 21 maggio 2008 Berlusconi tenne il suo primo consiglio dei ministri proprio a Napoli, e approvò un decreto legge (n. 90 del 23 maggio 2008, convertito in legge n. 123 del 14 luglio 2008) con cui, allo scopo di avviare definitivamente un ciclo integrato dei rifiuti, si stabiliva la costruzione di quattro, anziché tre nuovi inceneritori, si individuavano dieci siti in cui realizzare altrettante nuove discariche (che venivano contestualmente dichiarate zone di interesse strategico nazionale di competenza militare) e si prevedevano sanzioni fino al commissariamento per i Comuni che non avessero portato a regime la raccolta differenziata.

Il limite per la cessazione dello stato di emergenza fu fissato al 31 dicembre 2009, e fu nominato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’emergenza rifiuti il capo della Protezione civile Guido Bertolaso, già Commissario nel 2006-2007. Ma all’interno del decreto, all’art. 9, in deroga a tutte le norme vigenti in materia, comprese quelle comunitarie, si autorizzava lo smaltimento nelle nuove discariche anche dei rifiuti pericolosi contraddistinti dai codici CER 19.01.11, 19.01.13, 19.02.05 e 19.12.11, mentre l’art. 3, in deroga alle norme del codice di procedura penale e dell’ordinamento giudiziario, prevedeva l’anomala attribuzione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli della competenza esclusiva ai fini dell’accertamento dei reati ambientali commessi su tutto il territorio della Campania. Con ordinanza del 16 luglio 2008, il Presidente del Consiglio dispose poi il commissariamento ad acta dei sette impianti per la produzione di CDR realizzati dalla Fibe, nel frattempo convertiti in impianti per la semplice trito-vagliatura e l’imballaggio dei rifiuti, e il 18 luglio l’emergenza (nell’emergenza) dovuta alla mancata raccolta dei rifiuti solidi urbani in Campania fu dichiarata chiusa. Se non che, in mancanza dell’entrata in funzione di tutti i termovalorizzatori previsti e di una soddisfacente raccolta differenziata, un ciclo industriale dei rifiuti non può dirsi stabilmente avviato, e restano ancora da smaltire cinque milioni di ecoballe. Nel frattempo era stato istituito con il decreto-legge n. 172 il reato di abbandono di rifiuti pericolosi, speciali ovvero ingombranti, punito con la reclusione fino a cinque anni. L’esaurimento della discarica di Chiaiano era stato fissato per il 2011, e la fase di collaudo del termovalorizzatore di Acerra era stata avviata. Però si continuava a bruciarvi rifiuti “tal quale” anziché CDR, il che rendeva inaffidabile un collaudo vero e proprio della struttura oltre a generare emissioni di PM10 superiori di ben 11 volte gli i limiti di legge (questo nelle prime due settimane di ottobre 2009) secondo i dati ARPAC, che sono gli unici disponibili, in quanto l’Osservatorio Ambientale del termovalorizzatore non fornisce dati sulle emissioni di polveri sottili.
Anche per la discarica di Cava Sari a Terzigno, la cui capacità è di 750.000 metri cubi, si era stabilito che fossero versati rifiuti fino all’estate del 2011; stando agli ultimi dati, nel momento in cui scrivo essa è invece già prossima a esaurirsi.

Il collaudo del termovalorizzatore di Acerra diede esito positivo (benché a tutt’oggi non risulti certificato), e l’impianto venne consegnato al gestore, la società A2A. Tuttavia, se a pieno regime esso avrebbe dovuto bruciare circa 2000 tonnellate di rifiuti tritovagliati al giorno, nei fatti ora non riesce a superare le 500 tonnellate effettive per i numerosi guasti che nel tempo hanno fermato due forni su tre, quando non l’intero impianto, il cui collaudo del 16 luglio 2010 peraltro non risulta a tutt’oggi certificato. In tutto ciò bisogna collocare anche l’aspetto giudiziario della questione. Già il 27 giugno 2007 la Commissione europea avviò una procedura di infrazione contro l’Italia per la crisi dei rifiuti, cui seguì il ricorso e successivamente la condanna il 4 marzo 2010 ad opera della Corte di giustizia europea del Lussemburgo. In patria, il 31 luglio 2007, la Procura della Repubblica di Napoli depositò le richieste di rinvio a giudizio per gran parte degli indagati nell’ambito dell’inchiesta sull’emergenza rifiuti in Campania, ipotizzando i reati di truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato e frode in pubbliche forniture, falso ed abuso d’ufficio a carico di 28 imputati; tra questi il citato Antonio Bassolino insieme ai suoi collaboratori diretti (il sub Commissario Giulio Facchi e il vice Commissario Raffaele Vanoli) nonché Piergiorgio Romiti e Paolo Romiti, vertici della Impregilo, le società Impregilo, Fibe, Fisia Italimpianti, Fibe Campania e Gestione Napoli, tutte coinvolte nell’appalto. In particolare, le imprese affidatarie degli appalti per la costruzione degli inceneritori e degli impianti di CDR furono accusate dalla Procura di Napoli di non aver rispettato i contratti, avendo progettato inceneritori non idonei e prodotto ecoballe di CDR scadente o inutilizzabile; tali irregolarità, inoltre, sarebbero state possibili solo grazie alla complicità e connivenza del Commissariato per l’emergenza, che avrebbe omesso i controlli previsti. Le ecoballe, in particolare, risultavano costituite di rifiuti “tal quali” e pertanto non bruciabili, ed erano state oltretutto stoccate in aree prive delle necessarie misure di sicurezza per l’ambiente; anche la frazione umida prodotta dagli impianti non risultò a norma perché non subiva un trattamento adeguato a renderla biologicamente innocua, tant’è che il nuovo Commissario straordinario ne dispose l’invio a discarica. Il 29 febbraio, mentre il GUP disponeva il rinvio a giudizio di tutti gli imputati, una donna si diede fuoco per protesta davanti alla discarica di Giugliano. La prima udienza del processo, fissata per il 14 maggio, fu subito rinviata a luglio.

Il 27 maggio 2008 l’inchiesta per epidemia colposa denominata “Rompiballe”, avviata nel gennaio dello stesso anno, condusse alla disposizione degli arresti domiciliari per 25 persone, fra cui Marta Di Gennaro, vice di Bertolaso all’epoca del suo commissariato, e diversi dipendenti e rappresentanti di aziende collegate al Commissariato per l’emergenza rifiuti in Campania. Le accuse andavano dal traffico illecito di rifiuti al falso ideologico e truffa ai danni dello Stato. Anche il Prefetto di Napoli, Alessandro Pansa, ricevette nella stessa data un avviso di garanzia per presunte irregolarità in atti relativi alla società Fibe compiuti durante la sua gestione del commissariato rifiuti. Il 24 luglio 2008 la posizione del Commissario Bertolaso e degli ex commissari Catenacci e Pansa venne stralciata per decisione della Procura, peraltro contestata da alcuni dei sostituti procuratori. Il 17 dicembre 2009 il Tribunale di Napoli dispose però la trasmissione di tutti gli atti d’indagine alla Procura di Roma, poiché nell’inchiesta era coinvolto, sia pure con richiesta di archiviazione, anche il PM della procura napoletana Giovanni Corona, ex consulente giuridico del commissariato. Il 7 luglio 2008 le società Fisia Italimpianti, Fibe e Fibe Campania ricevettero la notifica di un avviso di conclusione delle indagini per responsabilità amministrativa, ex D.lgs. 231/01, nell’ambito dell’inchiesta del maggio 2008 condotta dalla Procura di Napoli relativa alla gestione del ciclo di smaltimento dei rifiuti nella regione Campania dopo la risoluzione ex lege dei contratti di affidamento del servizio (15 dicembre 2005) e che vedeva coinvolti, tra gli altri, ex Commissari straordinari all’emergenza rifiuti e manager delle società operative.



In una società moderna il rifiuto è solo ciò che non può più entrare in un nuovo processo di produzione.

Le priorità purtroppo restano sempre le stesse a tutte le latitudini: non esiste Paese civile al mondo che sappia investire nel turismo e che non sia in grado di gestire i rifiuti che la città produce.

La mia idea “nuova di rivoluzione” ha come primo obiettivo la realizzazione di una macchina perfetta del ciclo integrato dei rifiuti solidi in grado di riciclare tutto ciò che è possibile. Molto ancora si deve fare per sensibilizzare le persone a praticare correttamente la raccolta differenziata. Quando è stata avviata la raccolta differenziata in alcuni quartieri a Napoli, all’inizio i residenti la facevano, più o meno bene; passato un anno alcuni continuano a farla in maniera rigorosa, altri invece hanno perso la motivazione iniziale. Qual è la causa di ciò? Nella maggior parte della città la raccolta differenziata non si fa e in alcune zone non la si vuole fare, perché la si ritiene inutile, difficile e problematica; forse sarà la pigrizia, forse l’inciviltà, forse l’ignoranza... Però è evidente che essa può diventare facilmente un’abitudine solo se le istituzioni riusciranno a farne capire i vantaggi immediati: un metodo inventato per creare nuove forme di benessere e per un mondo migliore, più pulito e salutare, ma non solo! Anche prodotti agricoli di qualità, più sviluppo e benessere economico, più occupazione, insomma più qualità della vita. La cosa in assoluto inaccettabile è la disorganizzazione e la noncuranza di chi lavora per offrire questo tipo di servizio alla cittadinanza: se coloro che operano nel settore appaiono per primi disorganizzati e demotivati, è naturale che ciò influisca negativamente sull’impegno della gente. L’obbiettivo è quello di far conoscere alle persone i vantaggi di un nuovo comportamento per sostituirlo a quello meno vantaggioso.


Berlusconi vorrebbe fare della Campania la capitale dell’incenerimento dei rifiuti

Per fare un esempio concreto, nel corso di una verifica richiesta nella primavera del 2007 dalla Provincia di Bolzano (dove sorge un termovalorizzatore) la concentrazione di particelle di diametro compreso tra i 5,5 e i 350 nanometri (quindi polveri cosiddette ultrafini) è stata misurata in vari punti, trovando valori di 10-20000 particelle per centimetro quadrato nei pressi dell’autostrada, 5-7000 al camino dell’inceneritore, 5-10000 nel punto di massima ricaduta delle sue polveri e 5000 in una zona non antropizzata.
La pericolosità degli inceneritori, che contribuiscono all’emissione di polveri fini e ultrafini in aree urbane, non è ancora stata del tutto chiarita, ma senz’altro diversi esperti si dichiarano ad essi contrari.

In ogni caso questi dati sono relativamente recenti e tuttora oggetto di studio, e dunque la legge italiana e le norme europee non sono ancora al passo con il problema: pongono limiti di qualità dell’aria solamente riferiti al PM10 (polveri di diametro aerodinamico inferiore 10 micrometri cioè 10000 nanometri), quantificando il limite medio massimo di tali polveri sottili nell’aria in 50 microgrammi/m³ (milionesimi di grammo per metro cubo d’aria). I limiti relativi alle emissioni degli inceneritori (e degli altri impianti industriali) sono ancora meno accurati: non considerano per niente la finezza delle polveri, ma solo il peso totale di 10 milligrammi/m3 (millesimi di grammo al metro cubo di fumi), mentre una valutazione sulla base del peso per polveri così sottili è quasi priva di senso. A oggi, l’unico ambito in cui i limiti di emissione sono imposti sul PM10 è quello dei veicoli (si vedano le norme Euro3 ed Euro4). In sostanza, al momento la scienza non è ancora in grado di prevedere i rischi ambientali derivanti da queste nuove tecnologie perché le informazioni disponibili sono ancora troppo scarse, quindi non sufficienti per giustificare investimenti così massicci. A meno che non si vogliano avvantaggiare particolari gruppi di potere che hanno investito su questo tipo di tecnologia... La prudenza in questi casi è sempre la cosa migliore per non ricadere in quei classici errori che la superficialità del liberismo selvaggio ci ha fatto conoscere. Io appoggio una politica industriale dei rifiuti ecosostenibile, che sia più sicura, più rispettosa per l’ambiente e che abbia una ricaduta occupazionale più significativa. Sono favorevole a una macchina del ciclo integrato dei rifiuti che si basi essenzialmente sul metodo della raccolta differenziata e sul riciclaggio, che preveda un termovalorizzatore con la funzione di smaltire solo quel 10% o al massimo il 20-30% di ciò che non può essere riciclato. Questo approccio prevede l’utilizzo di tecnologie che trasformano i prodotti della raccolta differenziata in nuovi prodotti da rimettere sul mercato. Questa metodologia moderna dello smaltimento dei rifiuti per essere competitiva e funzionare in maniera efficiente ha bisogno di impiantare direttamente sul territorio tutte quelle parti che a oggi mancano, cioè un indotto industriale completo di impianti per la separazione dei materiali, il cosiddetto trattamento meccanico-biologico a freddo e stabilimenti industriali per la trasformazione di questi materiali in nuovi materiali. La raccolta differenziata deve essere gestita da consorzi privati che hanno interesse a farla: a Napoli essa non ha mai raggiunto livelli accettabili proprio perché manca questo tipo di organizzazione, forse le istituzioni si aspettavano che da un giorno all’altro i cittadini fossero in grado di fare tutto da soli, compresa la trasformazione delle lattine di birra in biciclette o caffettiere. L’ASIA (Azienda Servizi Igiene Ambientale, s.p.a. in sostanza di proprietà del comune) è l’unica azienda a Napoli che ha il compito di rendere la città pulita; praticamente ha il monopolio della pulizia delle strade e ha l’onere di gestire la raccolta dei rifiuti che la città produce senza alcun controllo; l’ASIA dovrebbe garantire un servizio efficiente, ma non ha gli strumenti per farlo: mancano personale efficiente e qualificato, mancano impianti per il trattamento meccanico-biologico a freddo.

Il TMB, come si è accennato in precedenza, è una tecnologia di trattamento a freddo dei rifiuti indifferenziati (o avanzati dalla raccolta differenziata) che sfrutta l’abbinamento di processi meccanici a processi biologici quali la digestione anaerobica e il compostaggio. Appositi macchinari separano la frazione umida (l’organico da bio-essiccare) dalla frazione secca (carta, plastica, vetro, inerti ecc.); quest’ultima frazione può essere in parte riciclata oppure usata per produrre combustibile derivato dai rifiuti (CDR) rimuovendo i materiali incombustibili.
Ma del resto ai cittadini interessa soprattutto che la spazzatura non sia per le strade, non si pone il problema di dove e come venga smaltita... La questione strutturale è un problema che avrebbero dovuto invece porsi le istituzioni preposte alla tutela e allo sviluppo dei fondamentali settori produttivi, in primis Comune e Regione: invece solo oggi, grazie a Berlusconi, si intravede una possibile via d’uscita che, sotto minacce di commissariamento, ha costretto finalmente il Comune di Napoli a iniziare la raccolta differenziata tanto attesa. Purtroppo però, a un anno dall’emergenza e dal disastro ambientale, la raccolta differenziata a Napoli resta ancora un miraggio e ciò nonostante la giunta non viene commissariata. Dove sono gli incentivi per i quartieri che oggi partecipano al progetto di raccolta differenziata? I rincari della tassa sull’immondizia imposti a tutti, in maniera indiscriminata, dimostrano il disinteresse verso i cittadini diligenti differenziatori di munnezza, da parte dell’amministrazione.

Napoli ha bisogno di una nuova classe dirigente più illuminata per avere un popolo più illuminato. Certo non fanno bene osservazioni superficiali di alcuni assessori che dichiarano che la raccolta differenziata a Napoli non è possibile a causa della elevata densità della popolazione. Queste osservazioni sono, evidentemente, l’espressione di chi merita di fare un mestiere diverso. Per tornare alla rivolta di Chiaiano e a tutte le rivolte che si sono sollevate contro il concetto di discarica indifferenziata, ritengo che quelle persone lottino per una giusta causa. Lottano, infatti, per essere riconosciute da uno Stato che ha il suo fondamento sul principio del diritto alla salute. Bertolaso promise che la nuova discarica di Chiaiano sarebbe stata costruita secondo i criteri legislativi vigenti, ammesso che esistano criteri certi e scientifici per garantire la salute dei cittadini che vivono in prossimità di questi accumuli di rifiuti a cielo aperto, perché questo è la discarica di Chiaiano; sono sicuro che oggi quelle premesse e quelle garanzie restano parole al vento, niente di tutto quello che fu promesso è stato mantenuto. Oggi la discarica di Chiaiano testimonia uno degli ultimi atti sconsiderati di una amministrazione fallimentare con a capo il Sindaco Iervolino e tutti coloro che contribuirono al progetto. Purtroppo la discarica di Chiaiano peserà sul futuro delle prossime generazioni in termini di salute, e la politica e lo staff scientifico che diede il parere positivo dovrà fare i conti con la propria coscienza.



Più benessere al Nord; una strategia a senso unico per il Nord; qual è il prezzo da pagare?

Come abbiamo dimostrato, le discariche del cosiddetto “tal quale” e gli inceneritori sono strumenti potenzialmente pericolosi e controproducenti per la qualità della vita di un territorio; al tempo stesso però si osserva come sia stato importante l’utilizzo dello strumento legislativo d’emergenza del Governo Berlusconi per affrontare la situazione drammatica dei rifiuti a Napoli. Pertanto abbiamo avuto la dimostrazione evidente che lo Stato centrale può intervenire e, quando vuole, sa intervenire in maniera concreta per aiutare dei territori in difficoltà. Voglio dire che in questo caso abbiamo assistito a un bell’esempio di statalismo e a un pessimo esempio di federalismo.

A maggior ragione, per questo e per altri motivi messi precedentemente in evidenza, sono più che mai convinto che il federalismo non sia prioritario per l’Italia, anzi possa essere deleterio, in quanto in questo momento storico, a causa delle scarse risorse economiche, il Sud peggiorerà in termini di sicurezza e di ordine pubblico, tanto da richiedere al governo centrale maggiori risorse per le forze dell’ordine e per il controllo del territorio, quindi più spesa pubblica e di conseguenza più deficit.
Sul federalismo c’è ancora molto da dire e da scoprire, dopo quanto abbiamo scoperto e supposto fino a ora: volendo semplificare molto, ci verrebbe da dire che solo a dei folli potrebbe interessare questo tipo di struttura frammentata dello Stato che tutto è, tranne che un modo per risparmiare risorse. In un momento di forte crisi internazionale e mondiale, dove l’Italia è tenuta a tagliare la spesa pubblica, ci ritroveremmo a gestire un cambiamento così radicale della struttura dello Stato italiano, senza sapere e conoscere i costi di attuazione. La politica italiana, lenta e farraginosa, con il federalismo si sta impantanando in una discussione inutile e controproducente. Il federalismo al Sud è uno strumento pericolosissimo a causa dell’incompetenza dei governi territoriali che sono sempre più deboli, ricattabili ed esposti al rischio del clientelismo. Pertanto, il concetto di federalismo (decentramento dei poteri) applicato a un sistema formato da tanti gruppi è positivo finché l’interesse particolare delle molteplici Regioni non entra in conflitto con il sistema centrale e cioè con i suoi valori e principi unitari. Qualora dovesse accadere un simile conflitto automaticamente il sistema centrale andrebbe a decadere.


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